Anatocismo bancario - Studio Legale ACV - Avvocato Alessandra Canafoglia Venturini

Cerca
Vai ai contenuti

Menu principale:

Anatocismo bancario

L'art. 1283 Codice Civile stabilisce la regola generale, in materia di obbligazioni pecuniarie, per cui, in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo in due ipotesi, e comunque purchè si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi:
qualora sia stata proposta specifica domanda giudiziale;
 qualora sia stata stipulata per iscritto apposita convenzione posteriore alla loro scadenza.
La giurisprudenza ha in passato costantemente ritenuto che, nell'ambito dei rapporti bancari, sussistesse un uso normativo contrario a detta disposizione che, pertanto, a prescindere dai presupposti ivi contemplati, legittimasse l'anatocismo, ossia la maturazione degli interessi sugli interessi.
L'anatocismo, pertanto, era in quest'ambito notoriamente ammesso, nonostante la previsione del citato articolo.
L'orientamento giurisprudenziale è però mutato alla fine degli anni '90, quando, nella prospettiva di una maggiore tutela del contraente debole, si è iniziato a negare la riconducibilità di siffatta consolidata prassi bancaria ad un uso normativo idoneo a derogare l'art. 1283 Codice Civile.
Veniva rilevato, infatti, come detta prassi rappresentasse piu' che altro una imposizione della relativa condizione contrattuale da parte delle banche, piuttosto che una spontanea adesione del cliente nella convinzione di osservare un precetto giuridico.
A fronte di simile rilevante révirement,  il legislatore è intervenuto per regolamentarne gli effetti con il d.lgs. 4 agosto 1999 n. 342 che, all'art. 25, modifica l'art. 120 TUB, prevedendo la possibilità di un anatocismo a condizione che la periodicità nella capitalizzazione fosse la stessa sia per gli interessi passivi che per quelli attivi, delegando al CICR di stabilire modalità e criteri di siffatta produzione degli interessi sugli interessi.
Con successiva delibera CICR del 9 febbraio 2000, entrata in vigore il successivo 22 aprile 2000, veniva appunto fissato il suddetto principio stabilendo la capitalizzazione di interessi trimestrali sia per i debiti che per i crediti.
Il d.lgs. 4 agosto 1999 n. 342 tentava, inoltre, di introdurre una sanatoria per le clausole relative all'anatocismo contenute nei contratti stipulati precedentemente alla delibera CICR del 9 febbraio 2000, purchè successivamente adeguate al nuovo principio.
Tuttavia, detta previsione sanante veniva dichiarata incostituzionale con sentenza n. 425 del 17 ottobre 2000.
Quindi, ne risultava che nei contratti stipulati ante delibera CICR, le clausole anatocistiche dovevano ritenersi nulle, con conseguente illegittimità della operata capitalizzazione degli interessi passivi.
Nei nuovi contratti, post delinera CICR, l'eventuale clausola di produzione degli interessi sugli interessi era invece valida, purchè rispettasse la reciprocità nella periodicità della capitalizzazione degli interessi passivi ed attivi.
Recentemente è stata apportata una ulteriore modifica all'art. 120 TUB ad opera dell'art. 1 comma 629 della Legge 27 dicembre 2013 n. 147, il quale ha eliminato l'anatocismo bancario stabilendo che gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale.
Dunque, per i contratti stipulati successivamente a tale riforma, deve ritenersi nulla l'eventuale clausola anatocistica; mentre per i contratti ante-riforma, è applicabile la regola dell'invalidità sopravvenuta della clausola anatocistica, fermi restando gli effetti giuridici sino ad allora da essa prodotti.
Da tutto quanto sopra discende la possibilità per il contraente di recuperare, a titolo di indebito versato, l'ammontare degli interessi pagati nell'ambito di una pratica anatocistica operata:
a) in contrasto con l'art. 1283 Codice Civile sino al 22 aprile 2000;
b) in contrasto con l'art. 120 TUB, modificato dal d.lgs. n. 342/99 , con relativa delibera CICR, sino al 1 gennaio 2014;
c) in contrasto con l'art. 1283 Codice Civile e art. 120 TUB, modificato dalla Legge n. 147/13.
Si tenga presente che il termine di prescrizione per l'esperimento dell'azione di ripetizione di indebito è pari a dieci anni.
La giurisprudenza, in ordine alla data di decorrenza di tale termine, ha operato un importate distinguo tra pagamenti solutori, per cui la prescrizione decorre dalla data di effettuazione di ogni singolo versamento, e pagamenti ripristinatori, per cui la prescrizione decorre dalla data di chiusura del rapporto (Cassazione Civile, Sezioni Unite, 2 dicembre 2010 n. 24418).
Al fine di correttamente qualificare i pagamenti, tuttavia, occorre preventivamente individuare ed eliminare tutte le competenze nulle relative alla capitalizzazione degli interessi, indi potrà essere calcolato il reale saldo del rapporto di conto corrente così epurato.
Soltanto in tal modo, infatti, potrà scoprirsi la reale destinazione solutoria o ripristinatoria dei pagamenti effettuati.
Ne discende che la domanda giudiziale proposta dovrà, in primis, essere diretta alla declaratoria di nullità delle clausole contrattuali che impongono il pagameto di importi indebiti (anatocismo, commissioni di massim scoperto, indeterminatezza degli interessi, etc.), quindi, la ripetizione degli indebiti corrisposti in forza di dette clausole nulle.
All'uopo dovrà essere prodotta tutta la documentazione inerente il rapporto di conto corrente sin dalla sua apertura, gravando sul creditore l'onere probatorio circa il pagamento di indebito.
Tattavia, alla banca possono essere richiesti solo gli ultimi dieci anni di estratto conto.
Si precisa, infine, che, in materia di contratti bancari, è previsto il procedimento di mediazione obbligatorio ex art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28.
(a cura dell'Avv. Alessandra Canafoglia Venturini - 23 luglio 2014)

 
Torna ai contenuti | Torna al menu